Con l’arrivo dell’inverno e del freddo, tutti (o quasi) desideriamo avere dei capi di abbigliamento caldi… Io poi, freddolosa all’ inverosimile, anche in Italia girerei con un vello di pecora addosso (magari pure idrorepellente, perché se si bagna con la pioggia poi puzza!). Proprio nei giorni scorsi ho fatto un giro per negozi per comprare qualcosa di nuovo.
Io tendo ad essere essenziale nel vestiario quotidiano, cose comode, pratiche, calde e volendo, pure impermeabili!
Ovviamente, mi sono diretta immediatamente verso negozi sportivi, ce ne sono talmente tanti che c’è l’imbarazzo della scelta.
Non volevo cedere di primo impulso ai soliti giacconi per la neve (perché poi, a Roma, la neve non c’è!), anche se li adoro! Così, ho dato un’occhiata a tutto il materiale per la montagna e la mia curiosità si è diretta verso i piumini e i giacconi con imbottitura di penne e piume… inutile dire che, di primo acchito, sono rimasta inorridita dal quantitativo di capi in piuma e piumino che erano esposti.
Credo che più o meno tutti sappiamo in che “barbaro” modo vengano ottenute le piume e le penne per le imbottiture: gli animali vengono tenuti con la forza e “spennati” o “spiumati” vivi. Questo processo inizia all’ incirca all’ età di due mesi (piumino ottimo!) e va avanti per un massimo di quattro volte, ogni due mesi. Immaginate che vita di merda fanno queste povere bestiole, a cui ogni due mesi vengono strappate piume e/o penne e poi ributtate nelle gabbie doloranti, al freddo , sotto evidente shock.
Non è così raro che, per infezioni alla pelle o per il freddo, gli animali spennati muoiano. Credo che anche la persona più insensibile possa comprendere che c’è qualcosa di malsano in questo modo di ottenere un qualcosa che ci serve per……… per……… per vestirci… Considerando che esistono tantissimi materiali sintetici altrettanto caldi (che si lavano pure più facilmente!!!!), che le penne e le piume costicchiano, manco a dì che sono economiche, una domanda fissa ha continuato a ronzarmi in testa nei giorni scorsi… ma quindi, perché se ne sente parlare così poco? E perché vedo in giro così tanti piumini? Cioè, perché ve comprate la cosa più costosa, meno pratica (per forza la lavanderia!) e che è pure “crudele” verso gli animali? Tra l’altro, i piumini sono pure bruttini… soprattutto quelli lucidi, che danno proprio il senso della busta dell’immondizia (penso questo ogni volta che ne vedo uno… che ci posso fare???)
E poi, va bene che oche, papere e anatre possono non essere particolarmente simpatiche, hanno questa pessima abitudine di non miagolare e non scodinzolare, molto spesso attaccano e inseguono ad ali aperte un povero ignaro che non sa che sono animali fortemente territoriali e che difendono il nido con eroico coraggio, inseguendo l’invasore, starnazzando a più non posso (pensate che in Cina vengono usate al posto dei cani da guardia!).
Però, per quanto possano essere animali piuttosto antipatici (e potremmo discuterne, eh!?!?!?), ciò non ci giustifica quando, avendo possibilità alternative, decidiamo di acquistare un qualcosa che è stato ottenuto attraverso un processo parecchio doloroso per loro.
Nei giorni scorsi, quindi, ho iniziato a fare una ricerca, cercando di capire se veramente una moda possa manipolare così tanto la sensibilità collettiva (e, purtroppo, penso spesso che le mode ci riescano fin troppo facilmente!). Ammetto che erano anni che non mi interessavo del problema “piumino”, anni fa bollai questi capi come poco etici (secondo la “mia etica”) e non li ho più acquistati (continuo a boicottare la Nike da quando avevo 15 anni… magari adesso è uno dei marchi più etici… forse dovrei aggiornarmi ogni tanto!).
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Ho quindi scoperto che in Europa esiste una legge che tutela questi animali (mi pare il minimo), ma è piuttosto vaga e l’interpretazione è oltremodo personale. L’articolo 3 della direttiva 98/58/CE riguardante la protezione degli animali negli allevamenti dice “Gli stati membri provvedono affinchè i proprietari o i custodi adottino le misure adeguate per garantire il benessere dei propri animali e per far si che a detti animali non vengano provocati dolori, sofferenze o lesioni inutili”.
Di fatto, quindi, non viene scritto da nessuna parte che la spiumatura forzata è vietata! Però, esiste una raccomandazione del Comitato permanente della convenzione europea sulla protezione degli animali negli allevamenti (adottata nel 1999) che prescrive che “piume, compreso il piumino, non vengano estirpate da animali vivi”. Ciò che è un po’ carente, al solito, è il controllo. E questo ci sorprende poco!
E in Italia?
Per fortuna, in Italia con il Decreto Legislativo 146/2011 (attuazione della direttiva 98/58/CE riguardante la protezione degli animali negli allevamenti) viene di fatto vietata la spiumatura forzata. Infatti nell’articolo 19 si legge “A partire dal 1 gennaio 2004 è vietata la spiumatura di volatili vivi.”, quindi c’è una frase chiara e non interpretabile! (leggi questa normativa; oppure questa)
Da alcuni siti (aziende che vendono piumini), leggo che in Europa, oggi, il 98% delle penne e piume non importate sono derivate o come prodotto secondario. Ossia gli animali vengono allevati per la carne e quando sacrificati vengono prelevate le penne (senza sofferenza aggiuntiva a quella che, a seconda del caso, è la sofferenza dell’allevamento), oppure attraverso lo spazzolamento nel periodo di muta. Quindi, in teoria, dovrebbero essere “cruelty free”.
Non leggo da nessuna parte quali e quanti controlli vengano effettuati per assicurare che siano impiegati solo questi metodi “non dolorosi”. Poiché, obiettivamente, a me il dubbio viene che l’attuale richiesta di mercato non possa essere soddisfatta impiegando solo questi due sistemi (penne come prodotto secondario e spazzolamento). Ma, soprattutto, la vera fregatura sta in ciò che si importa, perché se è vero che in Italia non è permesso dalla legge l’atto dello “spennare vivo un animale”, nessuna legge vieta di importare prodotti da paesi che non applicano queste tutele nei confronti del benessere degli animali allevati.
E qui arrivano le notizie veramente sconcertanti.
Poiché non bisogna arrivare fino alla lontana (e ormai tristemente famosa) Cina (in tutto l’Est asiatico purtroppo si tiene poco conto della sofferenza degli animali) per avere degli animali spennati vivi, sofferenti e traumatizzati. Basta che spostiamo lo sguardo verso le vicine Polonia, Romania e Ungheria, dove circa il 60% delle imbottiture viene ottenuto attraverso queste pratiche cruenti (fonti: www.terranauta.it www.assopiuma.org www.edfa.eu).
Dall’ altra parte, però, ho trovato moltissime aziende che hanno certificazioni di standard per il benessere degli animali, che quindi sembrerebbero essere produttori “cruelty free” per penne e piumini (ammettendo, sempre, che l’allevamento sia una pratica che si possa definire in linea col benessere animale).
C’è quindi una soluzione?
In parte, forse, può darsi. Se proprio non si può rinunciare al piumino, almeno accertarsi, guardando l’etichetta, che sia un prodotto italiano, che mi sembra molto più una garanzia rispetto al “made in china”. Cercate aziende che usino le penne come prodotto secondario o che abbiano una qualche certificazione “cruelty free”. Se vi rendete conto che, così facendo, il piumino è tutto, fuorché economico, beh… che dirvi? Le giacche da neve so molto più fighe, ma che state aspettando???? E la pippa sul discorso dell’inquinamento per la produzione delle fibre sintetiche ve la rimando ad un altro giorno!
Amanda Tedesco