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Gli aspetti della comunicazione

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Ho aggiornato un vecchio articolo su “Gli Aspetti della Comunicazione” della Dr.ssa Movilli, buona lettura.


Molti errori che compiamo nel giudicare gli altri, spesso nascono da una cattiva interpretazione del linguaggio verbale dissonante con quello non verbale come l’espressione del viso che, di solito, è legata a gesti che ci rimandano emozioni e stati d’animo, ma anche dalla prossemica ossia la distanza che intercorre tra noi e gli altri e che ci fornisce informazioni sul livello d’intimità, sui disagi e sugli sconfinamenti nelle distanze fisiche tra noi e gli altri, capaci di creare vere e proprie percezioni negative.

Gli errori nascono anche dalla dissonanza con il linguaggio paraverbale e da una sua cattiva interpretazione, come per esempio il tono della voce che funziona da indicatore dello stato d’animo, della propria cultura e dal tipo di enfasi che si vuole dare al discorso.

Ma gli errori nascono anche dal fatto che interpretiamo un gesto isolatamente dal contesto e da una nostra rappresentazione mentale scaturita da una situazione negativa o positiva che abbiamo esperito. Le rappresentazioni mentali, infatti, sono immediate cioè non elaborate, sono dovute ad un sistema associativo e si connotano emotivamente, per cui determinano il nostro comportamento manifesto.

Sembra assurdo eppure con le parole si può mentire ma non con il corpo, basti pensare che un atteggiamento posturale aperto suscita immediatamente una percezione positiva.

In altre parole, per dirla con il grande eminente psicologo e filosofo Paul Watzlawick, esponente della Scuola di Palo Alto in America e scomparso da qualche anno, è impossibile NON comunicare perchè anche se non lo facciamo verbalmente, riusciamo comunque a trasmettere le nostre emozioni ed i nostri pensieri, per cui assumiamo sempre un comportamento.

Quante volte ci è capitato di sedersi accanto a qualcuno, in pullman o in aereo, tentando di non comunicare: non vogliamo impegnarci in una comunicazione verbale ma non possiamo andarcene e quindi non possiamo non comunicare. Ecco che allora, se non lo diciamo apertamente infrangendo le buone maniere, usiamo un sintomo, come comunicazione, che nasconda la nostra volontà di non relazionarci: facendo finta di dormire o ascoltando la musica con le cuffiette, insomma facendo capire all’altro che non è possibile conversare.

La comunicazione, sotto ogni aspetto, fa parte di noi, delle nostre relazioni e quando una relazione è spontanea e armoniosa, le regole del gioco comunicativo sono chiare e rispettate da tutti i personaggi all’interno di un determinato contesto.

D’altra parte la comunicazione è un processo circolare dove ogni messaggio emesso viene recepito  e determina una reazione la quale, rimandata al mittente, provoca, a sua volta, una nuova reazione.

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Da sempre la filosofia del linguaggio studia la relazione tra linguaggio, mente e realtà cioè tra senso, significato e la capacità umana di usarli nella comunicazione.

Il filosofo contemporaneo Wittgenstein affermava che il linguaggio è come un gioco e come tale è necessario conoscere le regole che sottostanno al suo funzionamento e per questo, e nonostante questo, a volte capita di rimanere irretiti proprio nelle stesse regole linguistiche tanto che diciamo, appunto, “non è questo che intendevo dire” quando affiora una contraddizione.

Per concludere, non esiste un significato unico per una parola e spesso, per capirla, è necessario rendersi conto come è usata in un certo contesto, dal comportamento della persona che la emette e dal tipo di relazione che vogliamo esperire. La pluralità dei giochi linguistici, che sono intrecci di parole ed azioni, è strettamente correlata ai nostri fini, per cui il significato di una parola o di una frase sta proprio nell’uso che noi ne facciamo o ne vogliamo fare e la decodificazione non corretta di un messaggio a volte può essere volontaria e in mala fede (la politica sotto questo aspetto ci può insegnare molto) con l’obiettivo di generare conflitti e intolleranze.

cosetta movilli - visita il sito

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